RESTAURO DELLA MASCHERA CRESSI MEDUSA

Inviato da mauriziobaldinucci il Sab, 12/16/2023 - 13:34

Dopo il restauro della maschera Nereide Pirelli Prima Serie, restauro descritto in un mio recente articolo, il caso ha voluto che mi capitasse per le mani un esemplare di un’altra vecchia maschera di produzione italiana, la Medusa prodotta dalla Cressi di Genova. Questo esemplare in particolare sembra appartenere alla primissima fase di produzione di questo modello, fase che risale addirittura al 1946, anno di inizio delle attività industriali dell’azienda fondata da Egidio e Nanni Cressi, anche se sappiamo che Egidio Cressi, impiegato nella filiale genovese del Banco di Roma, produceva attrezzature subacquee (principalmente maschere e fucili) a livello artigianale già prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo lunghe ricerche in rete e nei vari libri e cataloghi dell’epoca, sono riuscito a trovare soltanto pochissime immagini e riferimenti di questo modello. Il primo documento ufficiale della Cressi che mostra questo maschera è il catalogo del 1947 (vedi Figura 1), catalogo che utilizzava, prassi comune in quegli anni, esclusivamente i disegni delle attrezzature anziché foto o immagini virtuali delle stesse, come sarebbe poi avvenuto negli anni successivi. Osservando le foto delle varie configurazioni disponibili della Medusa (vedi Figura 2, Figura 3 e Figura 4), sembrerebbe che lo stesso Egidio e probabilmente sua figlia Didi si siano prestati a fungere da modelli nella realizzazione di queste immagini. La cosa non mi sorprende affatto considerando le sfide finanziarie ed organizzative che la neonata Cressi doveva quasi sicuramente affrontare nei primissimi anni della sua esistenza. Tutto ciò che si poteva fare con risorse e personale interno era preferibile all’alternativa di richiedere questo tipo di prestazioni a società esterne, con tutte le spese che ne sarebbero derivate.

Figura 1 Figura 2
Figura 3 Figura 4

Confrontando le foto con la pagina del catalogo della Figura 1, possiamo identificare il modello indossato da Egidio nella Figura 2 come “Medusa tipo B con singolo respiratore”, mentre i modelli indossati da Didi Cressi sono rispettivamente la “Medusa tipo D con singolo respiratore e sottomento“ (vedi Figura 3) e la “Medusa gigante tipo B con sottomento” (vedi Figura 4). Le versioni definite con “sottomento” erano in realtà maschere granfacciali che coprivano sia il naso che la bocca.
A di là della tipica applicazione per apnea, questa tipologia di maschera ed alcuni suoi componenti caratteristici (es. vetro frontale e fascetta di serraggio tra vetro e corpo della maschera) sono stati impiegati anche per produrre la maschera granfacciale integrata nel primo modello di autorespiratore ad ossigeno (ARO), l’AR47, messo in produzione dall’azienda ligure proprio a partire dal 1947 (vedi Figura 5 e Figura 6).

Figura 5 Figura 6

L’esemplare in mio possesso è in ottime condizioni di conservazione, come si può constatare dalle foto in Figura 7, Figura 8, Figura 9 e Figura 10. Purtroppo, la maschera è sprovvista di snorkel e valvola di chiusura automatica a galleggiante.

Figura 7 Figura 8
Figura 9 Figura 10

Confrontando l’unità in mio possesso con le figure del catalogo, questo maschera è identica a quella mostrata nella Figura 3 ovvero è una “Medusa tipo D con singolo respiratore e sottomento”.
Osservando la maschera nei dettagli, si può constatare che questo modello utilizzava soluzioni e processi semiartigianali e anche piuttosto complessi e costosi. Tali soluzioni erano in linea con le conoscenze e i metodi produttivi disponibili all’epoca ma non sarebbero state compatibili con una produzione di massa e a costi ridotti, esigenza che sarebbe emersa negli anni successivi al crescere sia dei numeri di unità prodotte che della concorrenza.
In particolare, la valvola di chiusura automatica con galleggiante in sughero è un ottimo esempio di soluzione complicata, costosa e anche difficilmente compatibile con elevati numeri di produzione. Questi numeri di produzione e la relativa riduzione dei costi sarebbero stati raggiunti impiegando la tecnologia dello stampaggio ad iniezione dei materiali in plastica e gomma, tecnologia che sarebbe diventata standard nella fabbricazione di questo tipo di attrezzature a partire dalla fine degli anni ’50. Al contrario, la valvola della prima versione della Medusa era realizzata con componenti in metallo, probabilmente in alluminio od ottone, sottoposti a varie lavorazioni meccaniche ed infine anodizzati o verniciati. Per non parlare poi del galleggiante in sughero che dava l’idea di qualcosa realizzato nel garage di casa piuttosto che all’interno di una organizzazione industriale. Anche la personalizzazione delle varie configurazioni era ottenuta attraverso processi ancora di tipo artigianale. Ad esempio, l’applicazione dei manicotti sagomati in gomma dove veniva innestato il tubo del respiratore era in linea con questo tipo di metodologia produttiva artigianale. Pur di mantenere lo stesso stampo per il corpo in gomma della maschera, la soluzione consisteva nell’incollare uno (per le versioni con singolo respiratore) o due (per quelle con doppio respiratore) manicotti di gomma al corpo della maschera, corpo che aveva delle aree laterali specifiche di connessione, contrassegnate dal simbolo della testa della Medusa, ben noto personaggio mitologico. Il lato dove applicare il manicotto veniva preventivamente forato per consentire il passaggio dell’aria con l’interno della maschera (vedi Figura 11 e Figura 12).

Figura 11 Figura 12

Negli anni successivi, la maschera subì varie modifiche e miglioramenti a cominciare proprio dalla valvola di chiusura automatica sulla quale evidentemente mise gli occhi Luigi Ferraro, ex uomo Gamma della Marina Militare nonché M.O.V.M. per le celebri imprese di Alessandretta e Mersina in Turchia durante la Seconda Guerra Mondiale, che proprio in quegli anni lavorava per Cressi come Direttore Tecnico (vedi Figura 13). Ferraro studiò a lungo una soluzione migliorativa sia dal punto di vista dell’efficacia che da quello della semplicità di produzione ed infine sviluppò un progetto di valvola che poi brevettò nei principali mercati di riferimento (vedi Figura 14 che mostra la prima pagina del brevetto depositato negli USA).

Figura 13 Figura 14

Questa nuova valvola cominciò ad essere installata sulle maschere Medusa probabilmente a partire dal 1954, come mostrato nella Figura 15 e nella Figura 16, tratte dal catalogo Cressi del 1954.

Figura 15 Figura 16

Come si può notare dai disegni tratti dal catalogo, anche se la valvola è concettualmente identica a quella illustrata nel brevetto, il galleggiante sembrerebbe ancora realizzato in sughero mentre, già a partire dall’anno successivo (1955), tutti i componenti della valvola verranno realizzati in materie plastiche (vedi Figura 17 e Figura 18).

Figura 17 Figura 18

Oltre alla sostituzione della valvola di chiusura, le altre modifiche principali che si possono notare nelle figure precedenti sono quelle dell’eliminazione della fascetta metallica di serraggio tra vetro e corpo maschera, l’integrazione del manicotto di collegamento con il tubo respiratore nel corpo della maschera (il manicotto non è più incollato ma ora viene ricavato direttamente durante il processo di stampaggio del corpo della maschera), la modifica del cinghiolo con l’aggiunta di una superficie maggiore sulla parte posteriore a contatto con la nuca del subacqueo e, infine, il cambio del colore dal nero all’azzurro, colore che stava riscuotendo il maggior gradimento del pubblico in quel periodo.
Questo modello di maschera diventò molto popolare, anche se non ebbe lo stesso successo dell’altro famoso modello della Cressi, la “Pinocchio”, anch’essa inventata da Luigi Ferraro, maschera che è rimasta in produzione fino ai nostri giorni. La Medusa resterà invece in produzione per almeno 20 anni visto che era ancora inclusa nel catalogo Cressi del 1966.
Questa maschera fu così popolare negli anni ’50 e ’60 che addirittura fu scelta per costituire l’elemento principale intorno al quale è costruita tutta la trama del thriller inglese “The Snorkel”, con titolo in italiano “Delitto in Tuta Nera” (vedi Figura 19 e Figura 20).

Figura 19 Figura 20

In questa pellicola del 1958 il protagonista, lo scrittore Paul Decker, impersonato dall’attore Peter Van Eyck, uccide la ricca moglie Madge, sposata in seconde nozze, asfissiandola con il gas ed evita di essere scoperto nascondendosi in una botola sotto il pavimento e respirando aria proveniente dall’esterno e canalizzata mediante tubi di gomma collegati proprio alla maschera Medusa G Due che Decker indossa per tutto il tempo necessario (vedi Figura 21 e Figura 22). Sarà proprio la giovane figlia della vittima Candy, avuta dal primo matrimonio, ispirata da un manifesto del celebre film di CousteauIl Mondo del Silenzio” a capire il trucco ed infine a smascherare l’assassino.

Figura 21 Figura 22

A differenza del precedente progetto di restauro della maschera Pirelli Nereide Prima Serie, in questo caso non potevo contare su alcun campione da cui trarre misure e disegni. Ero deciso a ricostruire i componenti della valvola originale sempre impiegando il processo di stampa 3D ma stavolta i modelli 3D dei pezzi mancanti dovevano essere ricavati da quote stimate in qualche modo dalle pochissime fotografie disponibili, fotografie mostrate nella prima parte di questo articolo. Così, dopo vari tentativi e adattando di volta in volta i modelli 3D “ad occhio” confrontandoli con gli analoghi particolari delle foto, la valvola completa e tutti i suoi componenti sono stati ricostruiti al CAD come mostrato nella Figura 23, Figura 24, Figura 25, Figura 26, Figura 27 e Figura 28.

Figura 23 Figura 24
Figura 25 Figura 26
Figura 27 Figura 28

Anche se i pezzi della valvola originale erano molto probabilmente in metallo, ho pensato che, dal punto di vista estetico ed espositivo, la loro realizzazione in materiale plastico sarebbe stata assolutamente in linea con gli scopi di questo progetto di recupero.
Come già fatto in progetti precedenti ho inviato i modelli così ricavati ad uno stampatore 3D ed ho ottenuto così i pezzi mancanti (vedi Figura 29, Figura 30, Figura 31 e Figura 32).

Figura 29 Figura 30
Figura 31 Figura 32

Questi pezzi, dopo essere stati carteggiati e calibrati per il montaggio, sono stati verniciati con la solita vernice con effetto di cromatura, effetto che probabilmente era compatibile con il trattamento superficiale dei pezzi originali in metallo.
Per il galleggiante in sughero, così come fatto nel precedente progetto di recupero della maschera Nereide già citato, mi sono rivolto ad un falegname provvisto di tornio per il legno il quale, partendo dal solito tappo di sughero per damigiane, ha realizzato il pezzo finale (vedi Figura 33 e Figura 34).

Figura 33 Figura 34

Infine, per dare un tocco di maggiore realismo a questo progetto, ho fatto realizzare lo speciale timbro in gomma (vedi Figura 35) che serviva a marcare i galleggianti in sughero impiegati nella costruzione dei primi esemplari della maschera Medusa, come si evince osservando la Figura 2. Usando questo timbro, anche il galleggiante in sughero realizzato con il tornio per legno ha potuto essere marcato come i pezzi originali (vedi Figura 36).

Figura 35 Figura 36

Per il tubo respiratore, di colore bianco come mostrato nelle foto in Figura 3 e in Figura 4, non ho avuto problemi a reperire sue eBay uno spezzone in PVC da 1 metro con diametro esterno di 20 mm. Questo spezzone è stato tagliato alla giusta lunghezza, in base alle misure ricavate dalle foto disponibili.
A questo punto la maschera ha potuto essere montata e completata e il risultato finale può essere osservato nella Figura 37, Figura 38, Figura 39, Figura 40, Figura 41 e Figura 42.

Figura 37 Figura 38
Figura 39 Figura 40
Figura 41 Figura 42

Per il collegamento tra il corpo della valvola, la leva ed il cappellotto ho usato bulloncini con testa a brugola e relativi dadi autobloccanti in acciaio inox da 3 e da 4 mm. La superficie di tenuta tra il cappellotto e la sommità del tubo respiratore è stata realizzata inserendo un disco di gomma autoadesivo opportunamente sagomato.
Chiudo infine questo articolo riportando una frase trovata sul sito della Cressi, frase che ho scovato navigando in rete durante la fase di reperimento delle informazioni sulla maschera Medusa. Con riferimento ad uno dei suoi ultimi modelli di maschera granfacciale per snorkelling (vedi Figura 43 e Figura 44), maschere che da qualche anno sono diventate molto popolari e diffuse tra coloro che si avvicinano per la prima volta a questa attività, l’azienda genovese dichiarava: “Questo modello è l'evoluzione della prima maschera integrale mai prodotta, denominata Medusa, realizzata nel 1946”.

Figura 43 Figura 44

Naturalmente questa dichiarazione, che inizialmente mi ha lasciato un po' perplesso, poteva valere soltanto per questa tipologia di maschera, escludendo quelle usate negli apparecchi ad ossigeno impiegati dai nostri incursori durante la guerra. Comunque, questa frase mi ha fatto pensare ma, alla fine, ho dovuto concludere che tale affermazione era sostanzialmente corretta. Infatti, tutti gli elementi principali di questo modello si ritrovano anche nella maschera Medusa originale e cioè:

  • Copre naso e bocca
  • Ha un tubo di respirazione integrato provvisto di valvola di chiusura automatica con galleggiante integrato
  • Non consente la compensazione degli orecchi (a meno di usare la classica molletta stringinaso che era piuttosto popolare in quegli anni)
  • Ha un sistema di ventilazione che riduce la possibilità di appannamento del vetro (molto primitiva sulla Medusa consistendo soltanto in un setto in gomma incollato all’interno della maschera che costringeva l’aria a percorrere una traiettoria circolare prima di essere inspirata)

Al di là delle enormi differenze dal punto di vista dei materiali, dei processi produttivi e delle soluzioni estetiche ed ergonomiche tra questi due modelli, differenze ovvie se si pensa ai quasi ottant’anni che separano i periodi di produzione di queste maschere, la variante principale dal punto di vista del funzionamento è che la Medusa non ha valvole di scarico dell’acqua dedicate.
E così questo progetto di restauro, alla fine e come spesso succede in questi casi, mi ha permesso anche di approfondire e ripercorrere la storia e le fasi principali di vita di un modello di maschera tra i più iconici e rappresentativi dell’intera evoluzione delle attrezzature subacquee prodotte durante uno dei periodi più affascinanti e fecondi della storia di questo sport.


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